La strage di s. Lorenzo ’44 a Milano

I 15 e la storia della Resistenza 

Il 10 agosto 1944, il clima politico milanese era particolarmente opprimente: l’UPI, la famigerata polizia politica fascista, e l’altrettanto malfamata GESTAPO, la polizia di sicurezza nazista, esercitavano un controllo spietato sulla popolazione. Sui luoghi di lavoro, la dirigenza aziendale, in gran parte fascista, denunciava gli scioperanti che venivano catalogati come oppositori politici e, deportati, partivano anch’essi dal binario 21, insieme agli ebrei. Chi non era deportato, veniva incarcerato come ostaggio, talvolta destinato alla fucilazione, senza processo, come avvenne per i quindici partigiani della strage di piazzale Loreto. Più della metà di essi aveva partecipato agli scioperi del marzo ’43 e ’44; gli altri, li avevano anche organizzati. Ma tutti erano consapevoli che il prezzo della loro scelta antifascista avrebbe potuto essere la deportazione o la morte.
Gli scioperi fecero scalpore per la dimensione numerica e per il coraggio dei partecipanti. Il New York Times riportò in prima pagina, con un titolo a nove colonne, la clamorosa notizia: per la prima volta, con un’enorme partecipazione, si verificavano manifestazioni di tipo politico, assolutamente vietate nell’Europa occupata dal nazismo. Quegli scioperi avevano scopi politici precisi: favorire l’offensiva degli Alleati, impedire il furto nazista degli impianti industriali e combattere la Repubblica Sociale Italiana, complice dell’occupante nazista. Le rivendicazioni, a copertura degli obiettivi politici, vertevano sul salario, sulla mensa aziendale e sulla fornitura di copertoni di ricambio per le biciclette, allora principale mezzo di  trasporto dei lavoratori.
Questa fu una delle cause della terribile ondata di repressione nazifascista dell’estate milanese di quell’anno. Ma la ragione principale era militare: i nazisti dovevano avere il più assoluto controllo di Milano, essendo lo snodo stradale che, in caso di un’ormai quasi certa ritirata, avrebbe portato al Brennero le truppe tedesche, che occupavano il basso Piemonte, la Liguria e la Lombardia.
In questo quadro, va inserita la c.d. “rappresaglia” per l’attentato partigiano di viale Abruzzi dell’8 agosto, in cui morirono sei cittadini italiani, ma NESSUN MILITARE NAZISTA. In realtà, il massacro di s. Lorenzo fu una vera e propria azione di terrorismo politico, con cui Saevecke, capo della Gestapo di mezza Lombardia, volle affermare il controllo nazista del territorio. Per questo motivo, 55 anni dopo, il Tribunale Militare di Torino lo condannò all’ergastolo in contumacia. Ma il «boia di Milano» non fece neppure un giorno di galera: morì serenamente, nel suo letto, nel 2004.
Se c’è un’attenuante, per questo vergognoso silenzio, durato oltre mezzo secolo, esso è da ricercare nella situazione geopolitica dell’Italia che, come la Germania, si è trovata a dover presidiare la c.d. cortina di ferro, confine orientale del mondo occidentale. E questo ha pesato non poco sulla nostra politica estera e, ben più importante, su quella interna.

Dopo 76 anni stiamo ancora parlando di fascismo
A 76 anni da quell’eccidio, contro ogni previsione e con profondo dolore dei famigliari di coloro che hanno dato la vita per la democrazia e la libertà del Paese, ci ritroviamo qui, a parlare ancora e incredibilmente di fascismo. In questi ultimi trent’anni, la sistematica banalizzazione del fascismo, unita a una altrettanto sistematica svalutazione dell’antifascismo, si è tradotta in una legittimazione delle modalità con cui il fascismo si manifesta: nell’Italia di oggi, c’è più di un attore politico che si richiama apertamente e orgogliosamente al fascismo.

Complicità di magistratura e media 
Una certa magistratura ne è complice, perché riduce le manifestazioni di forza di stampo fascista, a semplici gesti nostalgici. E spesso, riesce a fare molto peggio, ammettendo alle elezioni locali e/o nazionali, liste con simboli e programmi che si rifanno esplicitamente al fascismo. Malgrado ciò, dobbiamo guardare con interesse alle nuove leve di magistrati perché, recentemente, esse hanno, finalmente, emesso alcune sentenze di condanna di raduni fascisti che incitavano all’odio e alla discriminazione razziale.
Ne sono corresponsabili anche giornali e TV che, fatte salve alcune lodevoli eccezioni, coltivano ostinatamente l’ignoranza della Storia della Resistenza e delle origini della Repubblica, avallando, spesso, ricostruzioni storiche fantasiose o palesemente false. Dal ’94 a oggi, c’è stata un’egemone vulgata neofascista, tacitamente avallata dai Ministeri degli Interni e della Pubblica Istruzione, saldamente in mano alla destra. In questo contesto, e in oltre mezzo secolo di occultamento della verità sulla strage di s. Lorenzo, i neofascisti hanno sviluppato una vergognosa speculazione politica.

Gli assassini della memoria
Ne hanno approfittato gli «assassini della memoria1 »: alcuni, pochi, storici togati; altri, più numerosi, storici improvvisati. Ma, tutti indifferenti al dolore dei famigliari di coloro che avevano pagato, con la morte, il prezzo della democrazia e della loro libertà. Se, i famigliari delle vittime hanno il sacrosanto diritto alla verità, quello stesso diritto spetta anche alla società, perché si possa formare liberamente l’opinione pubblica, senza che possa essere eterodiretta da qualsivoglia pregiudizio. Chiunque si proponga di narrare la strage di p. Loreto, quindi, deve sentire il dovere morale di raccontare la verità.

Vittorio Messori
Nella numerosa categoria degli «assassini della memoria» della strage di s. Lorenzo, si inserisce la narrazione di Vittorio Messori2 , storico cattolico di chiara fama, ma di provata malafede. Sorprende che la sua indagine storica non sia rigorosa, né rispettosa delle regole della ricerca scientifica, che egli conosce bene. Non stupisce, quindi, che sfoci in una narrazione superficiale, frettolosa, costretta negli angusti limiti del suo pregiudizio anticomunista. È difficile immaginarlo nei panni di Torquemada, il famigerato, intransigente inquisitore spagnolo; eppure, nel suo fazioso racconto del disumano massacro, è quella la figura che si impone alla mente del lettore.
La cosa che più sbalordisce nel suo articolo del 2005, “Piazzale Loreto come via Rasella”3 , è la sua granitica certezza di essere il depositario della verità rivelata. Per raccontare la strage di s. Lorenzo, egli sceglie di affidarsi alle memorie del fascista Vincenzo Costa, ultimo federale di Milano, perché, dice «la ricostruzione che fa Costa […] è confermata da tutti gli storici4 ». Affermazione falsa e affrettata: l’unico storico che si esprime è De Felice, che però non gli conferisce una patente di autenticità.
Messori, poi, invoca la tirannia del Grande Fratello orwelliano «che vuole irreggimentarci […], dicendoci non soltanto come dobbiamo votare, ma come dobbiamo pensare e vivere», e, riferendosi alla storiografia del tragico episodio, temerariamente, afferma: «[…] nessuno dice come andarono davvero le cose5 ». E, incautamente, aggiunge: «È solo l’amore per la verità che deve contrassegnare un cristiano che mi spinge a ricordare lo svolgimento dei fatti, non certo una qualche simpatia per il fascismo, per il quale ho la stessa estraneità, anzi orrore, che nutro verso il comunismo6 ».
Eppure, “come sono andate veramente le cose”, l’ha già accertato il Tribunale Militare di Torino, ben cinque anni prima dell’articolo di Messori, quando, nel giugno ’99, ha condannato all’ergastolo il criminale nazista Saevecke, unico ancora in vita, dei diciotto responsabili del massacro di s. Lorenzo, lasciando in eredità agli studiosi una corposa documentazione sul tema7 .
Ma Messori non lo sa. O, peggio: preferisce non saperlo.
Inevitabilmente, tutto il resto non è Storia: è spazzatura!
Vista la miseria morale e fattuale del suo articolo, egli avrebbe fatto meglio a non invocare l’etica cristiana per esprimere la sua avversione ai due totalitarismi: il suo fazioso racconto è privo del dichiarato dovere cristiano di narrare la verità e, in conclusione, ciò prova la sua malafede.
Se, con la sua stessa intransigenza, dovessimo applicare il rigore dell’integralismo cattolico al suo articolo, Messori dovrebbe bruciare nelle fiamme dell’inferno, per l’eternità!

Indro Montanelli
Tra gli «assassini della memoria» della strage di s. Lorenzo,  non poteva certo mancare l’anti-antifascista Indro Montanelli. Nel maggio ’99, durante il processo Saevecke, dopo la sua deposizione a favore del criminale di guerra nazista, il c.d. principe dei giornalisti, a chi gli faceva notare che la sua testimonianza aveva rinnovato il dolore dei famigliari8 , ha dichiarato «Me ne fotto!9 ». Interpretazione ben poco elegante, del già rozzo e indecente “Me ne frego!” fascista.
Nel libro «L’Italia nella guerra civile», scritto insieme a Mario Cervi, Montanelli millanta una sua inesistente partecipazione ai gruppi di Giustizia e Libertà10  e, a seguire, la sua presenza, il 29 aprile ’45, «… alla macabra (e ripugnante) scena di piazzale Loreto…». Ma, il principe dei cialtroni non ha mai fatto neanche un solo giorno da partigiano11 , né ha mai potuto assistere alla “macabra e ripugnante scena” perché la Svizzera lo rimpatriò il 22 maggio, quasi un mese dopo12 !
Per giustificare la strage nazifascista di piazzale Loreto13, Montanelli e Cervi si inventano nove morti nazisti, nell’attentato partigiano di viale Abruzzi dell’8 agosto, e un intervento del cardinale Schuster «per riuscire a limitare a 15 il numero degli ostaggi da sacrificare». In realtà, il cardinale intervenne, sì, ma per far terminare l’ignobile scempio. E, per sottrarre i corpi dei Quindici all’oltraggio fascista, dovette minacciare di intervenire personalmente14 .
Nella narrazione del massacro di s. Lorenzo, i due non nascondono il loro anti-antifascismo né la loro nostalgia per il passato regime. Rifiutano il nesso causale tra il disumano eccidio dell’anno prima e le modalità indecenti del dopo strage e, dall’altra parte, la fine ingloriosa del dittatore e dei gerarchi fascisti, che è invece il vero motivo della scelta di Audisio15  di questa piazza. Se, nella loro narrazione della strage di s. Lorenzo, manca ogni anche minima empatia, nel secondo rivoluzionario episodio, invece, essi manifestano apertamente la loro partecipazione alla morte del duce, prendendo poi le distanze dalla plebe che «infierì esultante».

Attualità dell’antifascismo
Per concludere, antifascismo non è sinonimo di comunismo, come la vulgata berlusconiana ha voluto far credere negli ultimi trenta anni. ANTIFASCISMO È SINONIMO DI DEMOCRAZIA E DI LIBERTÀ: esso si contrappone al totalitarismo fascista che negò sempre, con la violenza, l’esercizio dei diritti civili che stanno alla base di ogni società moderna e democratica. Per esteso, quindi, antifascismo è categoria politica applicabile a tutti i totalitarismi.
Possiamo dunque stabilire, in modo netto e inequivocabile, che L’ANTIFASCISMO È UN VALORE UNIVERSALE CHE TRASCENDE IL TEMPO E LO SPAZIO.

Milano, 10 agosto 2020.

1. Titolo di un famoso saggio di Pierre Vidal-Naquet, docente di Storia dell’antichità alla École des Haute Études En Sciences Sociales di Parigi, edito in Francia nel 2005.
2. Già giornalista de La Stampa e diFamiglia Cristiana, autore di un fortunatissimo libro, Ipotesi su Gesù, che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo. È un cattolico conservatore, contrario alle aperture di papa Francesco.
3. Cfr.: http://www.vittoriomessori.it/blog/2014/04/26/luglio-agosto-2005-il-timone-vivaio/ consulta-to il 9 luglio 2020.
4. Nella nota precedente, Messori afferma anche che: «Le sue memorie [di Vincenzo Costa] sono state giudicate veritiere e oggettive dal maggior esperto di queste cose, Renzo De Felice, …[che] le ha fatte pubblicare da un’editrice insospettabile come Il Mulino, che le ha ripresentate in queste settimane in edizione economica». Messori quindi si fida del giudizio di De Felice, che però ha conferito alle memorie una patente di autenticità, in quanto documento che illustra il punto di vista dei vertici della RSI, ma non sui suoi contenuti. Comunque, quale che fosse il giudizio di De Felice, egli rappresenterebbe solo se stesso e, certamente, non «tutti gli storici».
5. Cfr. nota precedente.
6. Cfr. note 4.
7. Il pm Pier Paolo Rivello, insieme alla sua squadra di consulenti storici, ha raccolto ben duemila-cinquecento pagine di documentazione sulla strage. Essa è pubblica e si può consultare presso il Tribunale Militare di Verona, insieme a tutti gli altri atti del processo Saevecke. La sentenza è nello stesso archivio, ma si trova anche nel sito del Ministero della Difesa  http://www.difesa.it/Giustizia_Militare/rassegna/Processi/Pagine/SaeveckeTheodorEmil.aspx consultato il 9 luglio 2020.
8. Alberto Custodero e Luca Fazzo, Montanelli testimone SS ma gentiluomo, la Repubblica, 14 maggio 1999, https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1999/05/14/montanelli-testimone-ss-ma-gentiluomo.html?ref=search consultato l’8 luglio 2020.
9. Testualmente disse: «[I famigliari] Rumoreggino pure, me ne fotto dei loro rumori. Io le bugie non le dico». Cfr. nota precedente. Per la sua partecipazione a Giustizia e Libertà, cfr. tra i tanti, Tino Oldani, Biografie scomode: Montanelli diceva di aver fatto il partigiano, ma a farlo fuggire da San Vittore furono un agente dell’OVRA e una SS, Italia Oggi, 14 aprile 2016, pag. 6.
10. Cfr. Montanelli Cervi, Storia d’Italia. Vol. XV, Avvertenza, pag. 3.
11. I fuorusciti di Lugano lo considerarono sempre un fascista; forse pentito, ma certo inaffidabile. Non gli perdonarono mai la cattura e la morte dell’architetto Filippo Beltrami, né quella dell’ingegner Mario Motta, a lui riconducibili per il suo incosciente, superficiale egocentrismo. Cfr. Enrico Arosio, Montanelli: la doppia vita del grande inviato del Corriere della Sera. Indro, miss Brulator e le SS, in http://forum.laudellulivo.org/index.php/?topic=781.0;wap2 consultato il 9 luglio 2020.
12. Cfr. Renata Broggini, Passaggio in Svizzera L’anno nascosto di Indro Montanelli», Feltrinelli, 2007, pag. 152.
13. A scusante dei due autori, il XV volume uscì nel 1983, quando ancora non si era tenuto il processo Saevecke del 1997-99. Tuttavia, bisogna aggiungere che, nell’Archivio di Stato di Milano, i documenti che certificano ciò che avvenne nel 1944 c’erano da tempo, ma nessuno dei due storici improvvisati ritenne necessario consultarli.
14. Cfr. Cardinale Ildefonso Schuster, Gli ultimi tempi di un regime, La Via, Milano, 1946, pag. 23
15. Walter Audisio, nome di battaglia colonnello Valerio, è il comandante partigiano che eseguì l’ordine del C.L.N.A.I. di fucilare Mussolini. Fu poi una sua iniziativa la traslazione in piazzale Loreto, memore dell’oltraggioso comportamento dei fascisti, in danno dei corpi dei partigiani, qui assassinati, il 10 agosto dell’anno precedente.