Milano, 10 agosto 1944: la strage

L’attentato di viale Abruzzi
La ricostruzione dell’episodio che ha causato la strage nazifascista di Piazzale Loreto, dai nazisti definita “rappresaglia” per puro opportunismo politico, si basa su diverse fonti e testi. Visto dalla parte della Resistenza, l’attentato si colloca all’interno della guerra di Liberazione e va considerato, a tutti gli effetti, un atto bellico; esattamente come “atto bellico” fu l’attentato di via Rasella a Roma.

Un articolo del Corriere della Sera, dell’11 agosto 19441, descrive, sia pure in modo indiretto, approssimativo e involontario, il clima di insofferenza della popolazione milanese per l’occupazione tedesca e l’oppressione fascista, illustrando gli effetti di tre episodi diversi: l’attentato a un camion tedesco, guidato dal caporalmaggiore Heinz Kühn (che alle 3 di notte si stacca, probabilmente per un guasto, da una colonna militare, in transito per Milano2, direzione piazza Ascoli, e parcheggia all’altezza del numero civico 77 di viale Abruzzi); l’uccisione, in piazza Tonoli3 , di un capitano della milizia ferroviaria (illustrato dallo stesso numero del Corriere); e un altro attentato, privo di qualsiasi riscontro documentale, di cui sarebbero rimasti vittime sei bimbi innocenti.
L’attentato di Viale Abruzzi è chiaramente illustrato dal rapporto del capitano Formosa della GNR, che l’addebita a «ignoti»; esso elenca sei morti, cinque feriti, ricoverati prevalentemente all’Ospedale Maggiore di Niguarda, e sei feriti leggeri «medicati e ritornati ai loro domicili». Eccezion fatta per il Kuhn, ferito leggermente ad una guancia, le vittime dell’episodio erano tutti italiani adulti (il più giovane era un ragazzo di 14 anni).

El Carlùn
La fantasiosa vulgata fascista si basa sulle memorie di Vincenzo Costa che narrano di un immaginario programma nazista di pubbliche relazioni che prevedeva «concerti, spettacoli, ricevimenti, conferenze» per «accattivarsi con ogni mezzo le simpatie della popolazione milanese»4 . Di quel programma faceva parte anche la distribuzione di generi alimentari che un corpulento graduato tedesco, che i milanesi avrebbero soprannominato El Carlùn, attuava ogni mattina, all’angolo di viale Abruzzi con Piazzale Loreto5 . Il bonario graduato Karl, come l’azione benemerita che gli viene falsamente attribuita, è ripreso più volte dalle tesi revisioniste, per poter meglio enfatizzare la condanna delle modalità di quell’attentato. Tra i tanti, anche Giorgio Pisanò ne fa uso, nella sua monumentale quanto poco attendibile Storia della guerra civile, che illustra la strage di piazzale Loreto, alle pagine 926 e seguenti. Eppure, il già ricordato rapporto del comando di zona della GNR dell’8 agosto non fa alcun riferimento alla immaginaria distribuzione di vivande, tantomeno al mitico Karl. È significativo che la vulgata neofascista non tenga in alcun conto le sue stesse fonti.

I testimoni oculari dell’attentato
Riprendendo la favola di Costa per stigmatizzarla, lo storico Luigi Borgomaneri nel suo libro «Hitler a Milano» riporta: «[…] il camion sarebbe stato adibito al trasporto di verdura, frutta, pane, frattaglie, residui delle mense germaniche distribuiti ogni giorno gratuitamente agli abitanti della zona, inventandosi anche un bonario vivandiere impersonato da Karl, un tedescone corpulento amicalmente soprannominato dalla gente della zona Carlùn. Giuseppina Ferrazza Politi6 , che, allora sedicenne, abitava con la madre al numero 92 di corso Buenos Aires, esattamente all’angolo di piazzale Loreto con viale Abruzzi e a settecento metri dal luogo di quell’attentato, non ha mai saputo né sentito parlare della prodiga distribuzione di generi alimentari, generosamente elargita dai nazisti». «Se ci fosse stata una cosa del genere – disse -, figuriamoci, con la fame che avevamo in quei tempi, se la voce non sarebbe circolata. Mia madre e io eravamo sole, non potevamo neanche ricorrere alla borsa nera. Ci saremmo precipitate per avere qualcosa»7 .
«Quella mattina, il diciassettenne Riccardo Milanesi8 – come ci ha raccontato e ha poi confermato davanti al Tribunale militare di Torino – si stava avviando per attraversare l’incrocio con viale Gran Sasso, quando sentì un’esplosione. Vicino al rimorchio tedesco c’era gente per terra che si lamentava. Milanesi, come altri, accorse per prestare soccorso ai feriti e proprio un minuto dopo, quando i soccorritori si andavano assembrando attorno ai primi colpiti, scoppiò il secondo ordigno. Milanesi fu ferito al braccio sinistro, riportandone una invalidità permanente».
«Ettore Brambilla9 , un tappezziere quarantottenne, anche lui accorso dal negozio poco distante, fu meno fortunato: ferito mortalmente, morì nelle ore successive».
Né Milanesi, né la figlia di Brambilla fanno cenno alcuno alla generosa iniziativa nazista di distribuzione di latte, verdura, frutta o altri generi alimentari.

Il presunto ruolo dei GAP
La vulgata neofascista attribuisce l’attentato di Viale Abruzzi ai partigiani dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica), nel quadro dei sabotaggi che le brigate partigiane stavano attuando con sempre maggiore intensità in Milano. La realtà dei fatti è molto meno ovvia di quanto si crede. Fin dall’inizio non si ipotizzò alcuna matrice gappista dell’accaduto (nel rapporto della GNR si parla dello scoppio di «due ordigni applicati ad opera di ignoti all’autocarro germanico»). Lo stesso comandante della GNR, il colonnello Pollini, in un successivo rapporto, addebitò l’attentato a «irresponsabili» non meglio identificati. Infine, Giovanni Pesce, comandante dei GAP milanesi, medaglia d’oro al valor militare, nella sua deposizione al processo Saevecke, ha testimoniato di non aver mai ordinato l’attentato dell’8 agosto in viale Abruzzi. Tuttavia, recenti documenti custoditi presso la Fondazione Gramsci, consentono di attribuire l’azione di guerra ai Gap milanesi10. Per certo, poi, possiamo concludere che l’attentato di viale Abruzzi non è rivolto contro la popolazione civile, che ne è coinvolta solo accidentalmente, come invece sostiene la vulgata neofascista11 né, tanto meno, contro madri in attesa di latte per i loro figli in tenera età12 .

Note

1. L’articolo intitolato: “Severe rappresaglie in seguito ad atti terroristici”, è collocato nella sezione Corriere Milanese, e riprende quasi testualmente il testo del comunicato del comando della sicurezza nazista. Archivio Associazione Le radici della Pace.
2. Cfr. il rapporto del capitano Formosa della GNR 8/8/44, disponibile in ASM, Fondo GNR 64, B 36, fasc. 7, s. f. 8.

3. Oggi piazza Ascoli.

4. Cfr. Vincenzo Costa, L’ultimo federale. Memorie della guerra civile (1943 – 1945), il Mulino, Bologna, 2005, pag. 106 e seguenti, da cui poi attinsero altri pseudo storici e assassini della memoria.

5. Si noti che il già citato rapporto della GNR (cap. Formosa) dell’8 agosto colloca l’attentato all’altezza del civico 77 del viale, che dista quasi un chilometro da piazzale Loreto.

6. Testimonianza di Giuseppina Ferrazza Politi, rilasciata l’8 marzo 2000 a Luigi Borgomaneri. La signora Ferrazza Politi, unico testimone fino ad oggi rintracciato dell’eccidio di Loreto, all’alba del 10 agosto 1944 fu svegliata dai motori degli automezzi che trasportavano vittime e carnefici, e dalle persiane socchiuse della sua assistette a tutte le drammatiche sequenze del massacro. Il 13 ottobre 1998, essa ha reso la sua deposizione davanti al Tribunale militare di Torino, illustrando una ricostruzione degli avvenimenti sofferta e commossa.

7.  Cfr. Luigi Borgomaneri, Hitler a Milano, Datanews, Milano, 2000, pag. 126.

8. Deposizione di Riccardo Milanesi al Tribunale militare di Torino, 9 dicembre 1998. Cfr. Luigi Borgomaneri, Hitler a Milano, citato, pag. 128.

9. La deflagrazione dei due ordigni in successione ravvicinata è stata confermata dalla figlia di Ettore Brambilla, che ha preferito non essere chiamata in giudizio come teste. Ibidem.

10. Cfr. Elisabetta Colombo, Resistenza e rappresaglia. I fatti di viale Abruzzi e piazzale Loreto, pag. 56 e segg., in E. Colombo, A. Modena, G. Scirocco, Il nostro silenzio avrà una voce.Piazzale Loreto: fatti e memoria, il Mulino, 2021.

11. Cfr. V. Costa, L’ultimo federale, citato, pagg. 106 e segg., a cui poi attinsero altri pseudo storici e «assassini della memoria».

12.  G. Pisanò, Storia della guerra civile 1943-1945, FPE, 1965, vol. II, pag. 926 e segg. La mistificazione di Pisanò nasce dalla consultazione in anteprima del manoscritto di Costa, che l’autorizza a farne l’uso che crede. Sarà ripresa più volte dalla stampa neofascista o, più semplicemente, di destra.