10 Agosto 2020

La Strage
All’alba del 10 agosto 1944, in piazzale Loreto, a Milano, un plotone della legione autonoma Ettore Muti, comandato dal capitano Pasquale Cardella1 fucila quindici partigiani, prelevati dal reparto a gestione nazista del carcere milanese di San Vittore. Alle 4.30 del mattino, nel carcere di S. Vittore, i prescelti furono selezionati personalmente dal capitano delle SS Saevecke, comandante della sicurezza nazista per mezza Lombardia e responsabile anche della conduzione del carcere milanese. I prigionieri giunsero in piazzale Loreto verso le 5.45, furono addossati, in qualche modo, allo steccato che c’era all’angolo di via Andrea Doria e furono fucilati disordinatamente2. Poi, inseguito e ucciso brutalmente il ferito Soncini, che, tentata la fuga, si era rifugiato in un palazzo di via Palestrina, due militi della Muti ne riportarono il corpo in piazzale Loreto, lo trascinarono sprezzantemente per i piedi e lo gettarono sul mucchio3. Alle 6.10 era tutto finito. I corpi furono ammucchiati uno sull’altro e, in cima al mucchio, fu apposto «un cartello che indicava la rappresaglia per l’attentato di Viale Abruzzi4» firmato dal comando tedesco. Ai fucilandi fu negata ogni parvenza di processo e, perfino, il conforto religioso che «non si è mai negato neppure al più abbietto assassino5».
L’ordine di fucilazione, impartito da Saevecke, fu poi girato, per la parte operativa, al colonnello Pollini della GNR6. Secondo la testimonianza dell’ex vice prefetto dell’ epoca, dottor Alberto Bettini, resa alla Corte d’Assise Straordinaria in data 28 agosto 1945, i fucilati avrebbero dovuto essere 457 poi ridotti, per autonoma decisione del comando lombardo delle SS, a 25 e in seguito a quindici. Infatti, durante una telefonata al colonnello von Kolberck, il capitano Saevecke lo informò che era stato possibile preparare solo quindici nominativi per la pianificata rappresaglia in risposta all’ attentato di viale Abruzzi8. Il merito della riduzione, quindi, non è, come ama dire la vulgata neofascista, del fascismo repubblichino; anzi, secondo la testimonianza dell’Obersturmführer SS Eugen Krause9, appartenente all’Aussenkommando SS di Milano, durante la riunione nell’ufficio del generale von Goldbeck all’Hotel del Turismo di Milano, il colonnello Pollini della GNR, il maggiore Bossi dell’UPI, il capitano Cardella della Muti, e altri fascisti «suggerirono l’impiccagione di un centinaio di persone davanti alla stazione di Milano». La testimonianza di Krause conferma l’affermazione di Bettini, secondo la quale il fascismo milanese aveva proposto di eliminare un numero di ostaggi ben più elevato.
Infine, il comunicato della Gestapo10, che annuncia l’avvenuta fucilazione, elenca nominativamente 26 detenuti complessivi, indicando i quindici fucilati, la «graziata» Giuditta Muzzolon che sarà inviata al campo di concentramento di Ravensbrück (si salverà e rientrerà a Sesto S. Giovanni poco dopo la fine della guerra) e i nomi dei dieci partigiani che «hanno avuto commutata la pena di morte nella condanna al penitenziario, ove rimarranno fino a quando non si verifichino ulteriori atti di sabotaggio». Nella realtà, saranno inviati ai campi di sterminio di Flossemburg, prima, e di Dachau, poi: se ne salveranno solo la metà. Alle 4.30 del mattino, al momento di uscire dal carcere, per il trasferimento sul luogo della fucilazione, ai quindici furono distribuite delle tute da operai per far loro credere che li avrebbero portati a lavorare per la Todt. Sul libro matricola del carcere, il piantone di servizio annota “Partiti per Bergamo”11.
All’epoca, Piazzale Loreto era il punto di convergenza del traffico dei pendolari milanesi verso le fabbriche della Brianza e di quello dei pendolari della provincia verso Milano. I nazisti non scelsero casualmente il luogo dell’esecuzione: volevano trasmettere un messaggio duramente intimidatorio alla popolazione e alla Resistenza e il maggior numero possibile di persone doveva vedere e sapere. Negli orari di punta dei giorni lavorativi, il transito dei pendolari contava diverse decine di migliaia di lavoratori12. Ma in quell’occasione, la voce del raccapricciante episodio corse rapidamente di bocca in bocca e, raggiungendo anche semplici cittadini, moltiplicò enormemente il numero dei passanti che temevano di poter riconoscere parenti o amici nei poveri corpi straziati.

Dopo la strage
Anche le modalità del dopo strage furono particolarmente efferate. I militi della Muti offesero i poveri corpi in tutti i modi: non risparmiarono calci e sputi in segno di disprezzo13, alcuni di loro mangiavano fette di anguria e sputavano i semi sui cadaveri14, un gruppetto di ausiliarie fasciste si pulì le scarpe nei vestiti delle vittime15, una delle guardie orinò al riparo dello steccato16.
Lo sprezzante maltrattamento riservato ai morti si estende anche ai parenti.
Nella testimonianza che la signora Fogagnolo rese alla 78th Special Investigation Branch inglese17, che nel 1946 indagò sulla strage18, dice che il corpo di suo marito presentava ferite d’arma da fuoco allo stomaco e al petto, ma il cranio – dice testualmente – era «sfracellato»; ora possiamo dire, con certezza quasi assoluta, che fu a causa dei calci dei militi fascisti.
La sorella di Giulio Casiraghi, Pinetta19, convalescente dopo un’operazione di appendicite, sente parlare della strage dai vicini di casa, a Sesto San Giovanni. Temendo per la sorte del fratello Giulio, in carcere a Milano, decide di andare in piazzale Loreto a vedere.
Un milite fascista l’apostrofa: «Cosa cerca»?
«Sto cercando mio fratello».
«Ma suo fratello è un delinquente»?
«No. Forse, l’unico sbaglio che ha fatto è di aver pensato più agli altri che a sé. E ha sempre lavorato; fin troppo».
Il brigatista nero alza le spalle, si volta, va verso il mucchio di morti, ne prende uno a caso per i capelli, gli alza la testa per farglielo vedere e chiede: «È questo»?
«No», risponde la Pinetta.
Poi passa a un altro e la scena si ripete. Poi a un altro ancora, e così per qualche altra volta.
Quando solleva la testa di Fogagnolo, la Casiraghi lo riconosce e capisce che lì c’è anche suo fratello Giulio. Disperata si allontana dalla piazza e faticosamente torna a casa.
L’evidente vilipendio dei poveri morti si manifestò anche nei confronti dell’allora diacono, Giovanni Barbareschi, che, mentre impartiva la benedizione alle salme per preciso incarico del cardinale Schuster, fu interrotto, in malo modo, dai militi della Muti e fu sollecitato a sbrigarsi. Il comando nazista, infine, ordinò che i poveri corpi rimanessero esposti per l’intera giornata20 e fu solo per il risoluto intervento del cardinale Schuster, che minacciò di provvedere personalmente alla rimozione21, che, ormai quasi a sera, si poté finalmente toglierli dal piazzale nel tardo pomeriggio e trasferirli all’obitorio.
Perfino i passanti sono vittime di quella violenza.
Un quindicenne, ex allievo del maestro Principato, che passava in bicicletta per viale Brianza, fu obbligato a scendere da un suo quasi coetaneo, armato fino ai denti, in divisa della Muti, e fu costretto, armi alla mano, ad andare a vedere «come si giustiziano gli antifascisti»22.
Una anziana donna che, scorgendo tra i morti il viso di un giovanissimo, disse: «Por fioeu!», fu subito minacciata da un milite fascista: «Cos’hai detto? Se lo ripeti ancora, ti faccio fare la stessa fine di questi banditi23»!
Ma quando uno spettatore, indubbiamente fascista, prese la mira per bene e sparò alcuni colpi di pistola nel mucchio dei poveri corpi in segno di disprezzo, non ci fu alcuna reazione da parte dei militi della Muti, evidentemente compiaciuti per il gesto24.
Di tutto questo non c’è più traccia nella memoria collettiva perché, il 10 agosto ’44, le ben lontane cineprese di Combat Film erano impegnate nei dintorni di Firenze, che sarà liberata il giorno dopo. Il 29 aprile ’45, invece, in piazzale Loreto c’erano e documentarono la collera della folla inferocita contro il tiranno e i suoi gerarchi, che avevano tradito la fiducia della nazione, trascinandola nella catastrofica, sanguinosa avventura della guerra mondiale.
Il film dell’incivile episodio (ma quando mai un fatto rivoluzionario può essere “civile”?) è spesso riproposto dai programmi televisivi di storia e di cronaca storica, quando si vuole ricordare l’ingloriosa fine di Mussolini. Ciò ha contribuito al consolidamento della memoria collettiva di questo evento mentre, non disponendo di un film, la stessa cosa non è avvenuta per la strage nazifascista del 10 agosto ’44.

Responsabilità tedesche
Probabilmente, la fucilazione di piazzale Loreto rientrava, come altre esecuzioni avvenute in quel periodo (Greco, Robecco, campo Forlanini), nel programma di feroce repressione nazista dell’attività partigiana, già ampiamente collaudato durante l’ occupazione dell’Est Europa: all’escalation del clima insurrezionale doveva corrispondere l’escalation del terrore per evitare che la solidarietà della popolazione e delle masse operaie potesse ulteriormente ingrossare le fila partigiane. Fu per tale motivo che, prendendo a pretesto la morte di civili e speculando sulla difesa dell’ordine pubblico, i nazisti tentarono di assicurarsi il consenso della cittadinanza alla repressione della lotta partigiana.

La vulgata neofascista e gli assassini della memoria25
Nel suo «Promemoria urgente per il duce26» il capo della provincia Parini dice chiaramente che l’ordine della rappresaglia fu impartito dal comando tedesco, senza alcuna preoccupazione per la proporzione numerica, ma solo per affermare il controllo nazista del territorio: Milano è il crocevia da cui devono passare le truppe naziste schierate nel basso Piemonte, in Liguria e nel sud della Lombardia, in occasione della ormai quasi certa ritirata per proseguire verso il Brennero. Considerato, poi, che l’ attentato di Rastenburg al Führer è recentissimo27, non è da escludere che lo zelo giochi una sua parte nell’atteggiamento delle gerarchie naziste periferiche, e lombarde in particolare.
Parini esprime un’inequivocabile insofferenza delle istituzioni repubblicane per la palese subordinazione all’autorità nazista che ne limitava l’autonomia, mettendole nella condizione di non poter fare sfoggio della loro efficienza e della loro attitudine militare; ma manifesta anche un pesantissimo giudizio sull’episodio: «il modo della fucilazione era stato quanto mai irregolare e contrario alle norme». Tanto che conclude dicendo: «Non vi nascondo che mi sento profondamente a disagio nella mia carica, giacché il modo di procedere dei tedeschi è tale da rendere troppo difficile il compito di ogni autorità e determina una crescente avversione da parte della popolazione verso la repubblica». Vale la pena di ricordare che, in seguito alla vicenda, Parini ritenne opportuno dimettersi da capo della provincia. Processato dalla Corte d’Assise Straordinaria, come esponente di spicco del fascismo milanese, nell’ottobre 1945, per questo suo gesto otterrà una sentenza di condanna28 relativamente mite: 8 anni e quattro mesi di carcere, che saranno poi cancellati in Cassazione, per la sopravvenuta “amnistia Togliatti”.
D’altra parte, la scelta del posto, la fucilazione e la crudeltà della lunga esposizione dei corpi martoriati lasciarono un segno indelebile nella popolazione milanese e nelle file della Resistenza, caricando di un forte valore simbolico il luogo e l’evento. Se non lo si comprende, resta davvero difficile capire a pieno il secondo e più noto episodio legato a Piazzale Loreto: l’esposizione dei cadaveri di Mussolini, della sua amante e dei gerarchi fascisti il 29 aprile 1945.
La pubblicistica neofascista, postfascista, e anti-antifascista, spesso si lascia andare ad affermazioni azzardate e, talvolta, indecenti, come quando, Franco Bandini dice che è un «peccato mortale tramandare storicamente “lezioni” dei fatti adulterate, al solo scopo di rimuovere colpe ed errori29».
Oppure, citando Vittorio Messori: «[…] in quel fiume di parole che continua da ormai sessant’anni, nessuno dice come andarono davvero le cose. È solo l’amore per la verità che deve contrassegnare un cristiano che mi spinge a ricordare lo svolgimento dei fatti, non certo una qualche simpatia per il fascismo, per il quale ho la stessa estraneità, anzi orrore, che nutro verso il comunismo30». Messori dichiara di rifarsi alle memorie di Vincenzo Costa, secondo lui fonte unica, attendibile e inequivocabile, capace di spiegare come sono andate davvero le cose; altro che «i sacerdoti della fruttuosa retorica resistenziale»! Sono passati poco più di cinque anni dal processo Saevecke e Messori, colpevolmente, non se n’è nemmeno accorto. E, infatti, ne ignora esiti e documenti. Non lo sa o non vuole saperlo? Mah!

Il processo Saevecke
Il processo a Theodor Saevecke, unico superstite dei diciotto responsabili (14 nazisti e quattro fascisti) individuati nominativamente dal rapporto della 78th SIB31 inglese, fin dal 21 maggio 1946, si apre nel settembre 1997 e si conclude il 9 giugno 1999, con una sentenza di condanna all’ergastolo che, non essendo appellata dal criminale di guerra nazista, sarà definitiva nel dicembre dello stesso anno. Difeso d’ufficio con i soldi dei contribuenti italiani, per interporre appello, avrebbe dovuto pagare di tasca sua un difensore di fiducia. Ma non volle spendere neppure una lira, per una questione che per lui non si poneva: nazista era, e nazista rimase fin sul letto di morte.
Saevecke, con l’arroganza tipica del nazista convinto e tutt’altro che pentito, nelle more del processo italiano, ha querelato per diffamazione il Procuratore Militare di Torino, dr Pier Paolo Rivello, per avergli chiesto conto dei suoi crimini, durante l’occupazione nazista della Lombardia. L’azione legale cadrà nel nulla, estinguendosi per la morte del criminale di guerra nazista.
Alle udienze del processo Saevecke, che si protraggono per un anno e mezzo circa, partecipa un folto gruppo di partigiani coi capelli bianchi, la cui partecipazione è composta e sentita.
Non ci sono reazioni emotive, isteriche o sopra le righe, neppure quando la testimone alto-atesina Frieda Unterkofler disconosce le sue due precedenti deposizioni: quella agli inquisitori inglesi del 1945 e, la più recente, al pm Pier Paolo Rivello, del 1997. O quando, l’ex tenente della Muti, Manlio Melli, noto criminale di guerra, sadico torturatore di partigiani, e in particolare di partigiane, si rivolge all’avvocato Maris in modo arrogante e offensivo. Né quando, nella sede milanese dell’Aeronautica Militare, durante la sessione straordinaria tenuta a Milano, per un riguardo all’età del teste a difesa, Indro Montanelli, egli smentisce se stesso, per favorire il criminale nazista, che gli ha permesso di “evadere” dal carcere di San Vittore, il 1° agosto del ’44.
Quando, il 9 giugno 1999, il processo si concluse con la sentenza di condanna all’ ergastolo di Saevecke, un lungo, caloroso applauso liberatorio percorse l’aula del Tribunale Militare di Torino.
Uno dei partigiani coi capelli bianchi, del gruppo dei dieci prigionieri “graziati” e trattenuti come ostaggi, che finirono prima a Flossemburg e poi a Dachau, figlio di uno dei fucilati, non poté trattenersi e, con voce spezzata dalla commozione, gridò: «Viva la Repubblica, viva la Resistenza!»

Milano, 10 agosto 2020
Associazione «Le radici della Pace – I 15»
Il presidente
Sergio R. Fogagnolo

Note
1. Tribunale Militare di Torino, atti del processo Saevecke, documento da n. 913 al n. 915, Archivio del Tribunale Militare di Verona. La sentenza è consultabile al sito del ministero della difesa: (CLICCA QUI) consultato il 18 marzo 2018. Tutti gli atti del processo Saevecke sono stati versati all’Archivio del Tribunale Militare di Verona nel 2008, anno in cui il Tribunale Militare di Torino fu soppresso e le sue competenze furono trasferite a quello di Verona.
2.   Cfr. «Promemoria urgente per il duce» del prefetto Parini, Archivio storico CVL, ASM, fondo CVL, busta 40, fascicolo 5, sottofascicolo 5, documento n. 455, datato a mano 10/8/44. Cfr. anche L. Borgomaneri, Hitler a Milano, Datanews Editrice, 2010, pag. 134 e la deposizione di Giuseppina Ferrazza al processo Saevecke, unica testimone oculare ancora in vita, inserita anche nel film «Partiti per Bergamo», Ass. Le radici della Pace, 2010.

3.   Cfr. Prefetto Piero Parini, Promemoria urgente per il duce, citato.

4.   Idem.

5.   Idem.

6.   Idem.

7.  Interrogatorio del dottor Alberto Bettini, Corte d’Assise Straordinaria di Milano (d’ora in poi CAS Milano): atti processuali della sentenza 261/291 del 27/10/45. ASM, Busta 20, fasc. 261 (attualmente mancante per errata archiviazione) e Fondo CAS Milano – vol. 3°.

8.   C’ Detachement, 78th Section SIB [Special Investigation Branch], C.M. Police. Statement of: Morgante Elena. 4 Apr 46, in ProWo, 310/204. Testimonianza resa a Milano al RSM Vickers J., matricola 14258093. Da Luigi Borgomaneri, Hitler a Milano, citato, pag. 139, nota 233.

9.    Tribunale Militare di Torino, Atti del processo Saevecke, documento 134-141, pag. 5.

10.   Archivio dell’associazione «Le radici della Pace».

11.   Ibidem.

12.   AA.VV., Che c’è di nuovo? Niente, la guerra. Edizioni Gabriele Mazzotta, Milano marzo 1997, pag. 283-284.

13.   Testimonianza di Adelina Del Ponte. Cfr. il film «Partiti per Bergamo», Ass. Le radici della Pace, 2010.

14.   Cfr. E. Ferri, L’alba che aspettavamo, Oscar Storia, Mondadori, 2006, pag. 149.

15.   Testimonianza di mons. Giovanni Barbareschi, durante la realizzazione del film «Partiti per Bergamo», Ass. Le radici della Pace, 2010.

16.   Testimonianza di Franco Loi. Cfr. il film «Partiti per Bergamo», Ass. Le radici della Pace, 2010.

17. Cfr. Atti del Processo Saevecke, Tribunale Militare di Torino, documenti 1182 e 1183, dichiarazione di Fogagnolo Fernanda, raccolta dalla 78th SIB il 19 aprile 1946, a firma del cap. J. Vickers, oggi nell’archivio del Tribunale Militare di Verona.

18.   L’indagine della 78th SIB, particolarmente accurata, terminava il 21 maggio 1946 con l’individuazione nominativa di 18 responsabili (14 nazisti e 4 fascisti). Cfr. Atti del Processo Saevecke, documenti 913 ÷ 915, a firma dei capp. J. Vickers e R. J. Masters, oggi nell’archivio del Tribunale Militare di Verona.

19.   Testimonianza di Giuseppina Casiraghi, detta Pinetta, in Franco Alasia, La vita di prima, Vangelista Editore, 1984, pag. 245-247.

20.   Cfr. «Promemoria urgente per il duce», citato.

21.   Cfr. Cardinale Ildefonso Schuster, Gli ultimi tempi di un regime, La Via, Milano, 1946, pag. 23.

22.   Testimonianza di Alfredo Barberis. Cfr. il film Partiti per Bergamo, Ass. Le radici della Pace, 2010.

23.   Testimonianza di Franco Loi. Cfr. il film Partiti per Bergamo, Ass. Le radici della Pace, 2010.

24.   Testimonianza di Camilla Cederna. Cfr. AA.VV., Milano in guerra, Feltrinelli, 1979, pag. 17. Ripreso anche da R. Cenati, A. Quatela, Alle fronde dei salici, ANPI Milano, 2007, pag. 18.

25.   Titolo di un famoso libro di Pierre Vidal-Naquet, docente di  Storia greca presso la prestigiosa Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales.
26.   Cfr. Il prefetto Parini, Promemoria urgente per il duce, ASM, Fondo CVL, B 40, fasc. 5, s. f. 5.

27.   L’attentato di Claus von Stauffenberg a Hitler alla «tana del lupo», noto anche come «Operazione Valkiria», avviene il 20 luglio 1944.

28.   ASM, Fondo CAS Milano, vol. 3°, sentenza 261/291 del 27/10/45.

29.   Il Giornale, 1 settembre 1996, Franco Bandini, “Rappresaglia. Ecco come si comincia”.

30.   Cfr.: http://www.vittoriomessori.it/blog/2014/04/26/luglio-agosto-2005-il-timone-vivaio/ consultato l’8/4/18.

31.  Tribunale Militare di Torino, Processo Saevecke, atti processuali, documento dal 913 al 915.

32. Si tratta di Eugenio Esposito, figlio di Andrea, fucilato in piazzale Loreto.