Salvatore Principato

Nasce il 29 aprile 1892 a Piazza Armerina (Enna). Medaglia d’argento della Prima Guerra Mondiale. Appena ventenne fu processato e assolto per aver animato con altri giovani una protesta a Piazza Armerina contro il monopolio di un’impresa di trasporti che si opponeva ad ogni forma di miglioramento a favore della popolazione locale. Giunto a Milano incomincia una fervente attività politica socialista, frequentando la casa di Filippo Turati e Anna Kuliscioff, collaborando con Giacomo Matteotti, con i fratelli Rosselli e, più avanti, con Giuseppe Faravelli.

Maestro elementare dal 1913 insegna Vimercate e a Milano nelle scuole Giulio Romano, Tito Speri e Leonardo da Vinci, dove é conservato un busto in sua memoria.

Deferito nel 1933 al Tribunale Speciale di Roma, fu rilasciato dopo oltre tre mesi di carcere. Fece parte della 33^ Brigata Matteotti, fu nel secondo e nel terzo comitato antifascista di Porta Venezia e nel Comitato di Liberazione Nazionale della Scuola. A Milano, in via Cusani 10, gestiva anche una piccola officina meccanica allo scopo di arrotondare lo stipendio di maestro e di mascherare uno smistamento di propaganda clandestina. Qui, su delazione, fu arrestato dai nazifascisti nel luglio 1944. Fu imprigionato nel carcere di Monza, dove fu torturato dalla polizia fascista che gli ruppe anche un braccio. Successivamente fu trasferito nel carcere milanese di San Vittore.

La figlia Concettina ricorda: Mia madre andava dappertutto per avere notizie e per avere un colloquio. Ci dissero di parlare con un capo tedesco che abitava in una villetta a Monza e che era molto influente. Ci andammo, e quando ci ricevette ci trovammo davanti un indi­viduo arrogante in divisa nazista, che parlava in milanese. Impietrite sulla sedia gli chie­demmo di mio padre e lui ci rispose, sempre in milanese, che non sapeva chi fosse questo Principato, ma che avevano preso uno, che era uno dei capi, gli avevano spezzato un braccio e che gliel’avrebbero fatta pagare cara. Senza parole venimmo via, ma avevamo un quadro disperato nel cuore.”

In una commovente lettera inviata dal carcere di Monza alla moglie e alla figlia, il 31 luglio 1944, Salvatore Principato scrive: Titti carissima, (…) Io sono costantemente vicino a te e alla mamma. Sapervi tranquille e che non vi lasciate mancare il possibile mi é di gran conforto e mi rende più tranquillo. (Concettina Principato, ripensando a quella tragica mattina del 10 agosto, dichiara che “dopo lo smarrimento, l’angoscia, il dolore, sentimmo che ora toccava a noi. Ci unimmo subito a Nanda Fogagnolo, vedova di uno dei quindici, che abitava vicino a noi, in via Pacini. D’accordo con gli altri famigliari, facemmo dire una messa, ognuno nella parrocchia della sua zona per richiamare l’attenzione della gente. Naturalmente i fascisti erano presenti e facevano buona guardia, ma non poterono intervenire nella chiesa, che era gremita!).